Recensioni al romanzo "L'acqua tace"


La recensione di Luca Rachetta su Vivere Senigallia è consultabile online.

La recensione di Gian Paolo Grattarola su Mangialibri è consultabile online.

La recensione di Mariangela Lando su Critica Letteraria è consultabile online.

La recensione di Greta Sturm su Paginatre è consultabile online.

La recensione di Ramona Corrado su La poesia e lo spirito è consultabile online.



Recensione di Antonio Luccarini su Il Messaggero

Ha inizio con la scoperta del cadavere di una giovane avvenente donna, in servizio presso un’altolocata famiglia del luogo, annegata nelle acque torbide di uno dei due laghetti della baia di Portonovo il gioco storico-letterario allestito da Pelagio D’Afro - il nome riassume un collettivo d’autori Giuseppe D’Emilio, Arturo Fabra, Roberto Fogliardi, Alessandro Papini - nel “noir” “L’acqua tace”. Il titolo del romanzo pubblicato dalle Edizioni Italic, costo 16 euro, è tratto da un verso di D’Annunzio; e proprio il poeta pescarese, uno dei protagonisti del racconto, è utilizzato dagli autori per richiamare alla mente un periodo storico affascinante e remoto. Un gioco letterario, appunto, che si diverte a mescolare e mettere insieme, come fanno, di solito, tutti i giochi, cose distanti tra loro, a volte estreme, a volte macchiettistiche e caricaturali, a volte simboliche o liricamente evocative. Un delitto dunque: sangue e morte nel paesaggio incantato di una paradisiaca baia, ma anche maleodoranti capanni di pescatori contrapposti a raffinati interni alto-borghesi, acque limpide di un mare trasparente a limacciosi fondi, l’amore consumato in pittoreschi ma claustrofobici bordelli a quello vissuto in spiagge candide ed incontaminate. Si intrecciano nel racconto i sentieri del vero con quelli del falso-vero il bordello di vicolo della Serpe, falsa la villa nella baia -i percorsi della storia con quelli della fantasia- documentata la presenza del poeta vate a Portonovo, inventati i componenti della famiglia De Silvis-, le modalità del dialetto con le sue espressioni brusche e fin troppo dirette con quelle del linguaggio desueto e ricercato da esteti d’altri tempi. È come ammirare una bella foto suggestiva su cui sono comunque rintracciabili i tratti delle cose ritoccate, abbellite, addolcite: in altre parole il fascino del verosimile rispetto alla durezza dell’autentico, al volto spigoloso e rugoso del reale. La scrittura asseconda pienamente le regole del gioco e soprattutto obbedisce alle sue finalità: divertire e far divertire.




Recensione di Federica Ferri su L'Urlo

Dopo un periodo di minor vivacità, la casa editrice anconetana Italic-peQuod da qualche anno pubblica finalmente libri che la stanno facendo di nuovo assurgere al ruolo di casa editrice di culto e che la stanno riportando ai tempi in cui in tutta Italia i lettori forti acquistavano opere peQuod solo "perché peQuod", con un "a scatola chiusa" fondato sulla qualità più potente del marketing delle major e degli pseudopassaparola pilotati dai grandi quotidiani. Una prova di questa situazione che, sia pure senza sterili campanilismi, non può che far piacere a chi ha a cuore la cultura delle Marche, è il romanzo "L'acqua tace" di Pelagio D'Afro, l'autore collettivo composto da Alessandro Papini, Roberto Fogliardi, Giuseppe D'Emilio e Arturo Fabra (per tre quarti quindi definibile "marchigiano") strettamente collegato, con una serie di legami che sarebbe lungo illustrare, all'autore multiplo Paolo Agaraff (questo, come è noto, definibile addirittura "anconetano"), fondatore del laboratorio creativo "Carboneria Letteraria" di cui ovviamente anche Pelagio fa parte. È un giallo storico. "Un altro?" si chiederanno i lettori più smaliziati. Sì, ma qui non ci troviamo di fronte solo ad un'opera di intrattenimento che si basa su una trama incalzante e su colpi di scena: ci sono questi elementi, certo, e rendono avvincente la lettura, ma - e qui balza dalla scatola chiusa la qualità - c'è una ricostruzione accurata dell'epoca (gli inizi del Novecento già sfondo de "Il sangue non è acqua" di Agaraff), e c'è la scrittura, l'elemento che da sempre differenzia i testi che puntano esclusivamente alle vendite da quelli letterari. Non lo dico io, ma, in prefazione, il noto scrittore Luca Masali: "Per regalarci l'immagine del Conero sognato, vivo e antico, Pelagio sceglie una prosa volutamente barocca, ma mai stucchevole; ci vuole molto senso della misura e una classe smisurata per raccontare di cavalli bai che tirano carrozze leggere e figure spaurite flagellate dalla forza irosa dei flutti, senza strappare un sorriso di compatimento. Il miracolo di Pelagio è che questa lingua desueta diventa viva, e soprattutto realistica, valorizzando la storia e i personaggi: ci sembra di vedere un film in lingua originale, non è certo la lingua a cui siamo abituati, ma è l'unica veramente “giusta” per raccontare questa storia, per dare quel sapore indefinibile, il profumo dolciastro dei pitosfori mescolato all'odore salmastro del mare."

Il Conero già: la vicenda, che vede coinvolto addirittura Gabriele D'Annunzio, si svolge nella splendida Portonovo. Consigliato.




Intervista di Maria Manganaro su Il Resto del Carlino