Recensione di Federica Ferri su L'Urlo
Dopo un periodo di minor vivacità, la casa editrice anconetana Italic-peQuod da qualche anno pubblica finalmente libri che la stanno facendo di nuovo assurgere al ruolo di casa editrice di culto e che la stanno riportando ai tempi in cui in tutta Italia i lettori forti acquistavano opere peQuod solo "perché peQuod", con un "a scatola chiusa" fondato sulla qualità più potente del marketing delle major e degli pseudopassaparola pilotati dai grandi quotidiani. Una prova di questa situazione che, sia pure senza sterili campanilismi, non può che far piacere a chi ha a cuore la cultura delle Marche, è il romanzo "L'acqua tace" di Pelagio D'Afro, l'autore collettivo composto da Alessandro Papini, Roberto Fogliardi, Giuseppe D'Emilio e Arturo Fabra (per tre quarti quindi definibile "marchigiano") strettamente collegato, con una serie di legami che sarebbe lungo illustrare, all'autore multiplo Paolo Agaraff (questo, come è noto, definibile addirittura "anconetano"), fondatore del laboratorio creativo "Carboneria Letteraria" di cui ovviamente anche Pelagio fa parte. È un giallo storico. "Un altro?" si chiederanno i lettori più smaliziati. Sì, ma qui non ci troviamo di fronte solo ad un'opera di intrattenimento che si basa su una trama incalzante e su colpi di scena: ci sono questi elementi, certo, e rendono avvincente la lettura, ma - e qui balza dalla scatola chiusa la qualità - c'è una ricostruzione accurata dell'epoca (gli inizi del Novecento già sfondo de "Il sangue non è acqua" di Agaraff), e c'è la scrittura, l'elemento che da sempre differenzia i testi che puntano esclusivamente alle vendite da quelli letterari. Non lo dico io, ma, in prefazione, il noto scrittore Luca Masali: "Per regalarci l'immagine del Conero sognato, vivo e antico, Pelagio sceglie una prosa volutamente barocca, ma mai stucchevole; ci vuole molto senso della misura e una classe smisurata per raccontare di cavalli bai che tirano carrozze leggere e figure spaurite flagellate dalla forza irosa dei flutti, senza strappare un sorriso di compatimento. Il miracolo di Pelagio è che questa lingua desueta diventa viva, e soprattutto realistica, valorizzando la storia e i personaggi: ci sembra di vedere un film in lingua originale, non è certo la lingua a cui siamo abituati, ma è l'unica veramente “giusta” per raccontare questa storia, per dare quel sapore indefinibile, il profumo dolciastro dei pitosfori mescolato all'odore salmastro del mare."
Il Conero già: la vicenda, che vede coinvolto addirittura Gabriele D'Annunzio, si svolge nella splendida Portonovo. Consigliato.